L’andamento tassi dei conti deposito negli ultimi mesi sta risalendo non di poco, regalandoci percentuali di interessi alle quali non eravamo davvero più abituati da diversi anni.
Infatti, tutti noi ci eravamo ormai abituati a imbatterci in conti deposito con tassi tra lo zero e l’uno per cento; osservando però lo storico di questa tipologia di prodotto finanziario, ti potrai accorgere che le percentuali di rendita negli anni passati erano ben diverse, anche da quelle attuali.
Il periodo antecedente alla crisi economica innescata da Lehman-Borthers (si parla del settembre 2008) era infatti caratterizzato da uno scenario molto differente da quello attuale: sia nell’Eurozona che negli Stati Uniti il costo del denaro era decisamente più alto, in virtù di una politica monetaria meno conservatrice della Fed e della BCE.
Similmente, anche l’inflazione presentava un livello superiore a quello degli anni post-crisi. Questo si traduceva in tassi d’interesse più consistenti, che venivano applicati anche ai conti deposito e ad altri prodotti finanziari proposti dagli istituti di credito.
Se da una parte l’inflazione poteva minacciare il potere d’acquisto, le pensioni ed i salari di lavoratori e famiglie, dall’altra i tassi di interesse di libretti di risparmio e conti deposito riuscivano a garantire dei profitti interessanti, in grado di bilanciare la pressione inflazionistica.
Indice Rapido
I migliori tassi deposito all’inizio del 2000
Per valutare i possibili profitti di un conto di risparmio nel passato, potresti consultare utili criteri di confronto. Una delle offerte più vantaggiose proposte dalle istituzioni finanziarie all’inizio del nuovo millennio era il rendimento del Conto Arancio di ING Direct. Nel 2006, una campagna pubblicitaria su larga scala prometteva ai depositanti un tasso del 6% su somme inferiori a 50.000 euro. Nel corso dei mesi, la percentuale di guadagno offerta da questa banca è gradualmente diminuita, raggiungendo il 4,50% nel 2007 e successivamente riducendosi notevolmente negli anni seguenti.
Nel corso del 2010, i tassi di deposito medi registrati nella zona Euro erano già scesi sotto la soglia del 2%, per via di una tendenza ribassista che si è ulteriormente delineata nel corso degli 8 anni successivi.
Tuttavia, quando osservi queste rendite, devi sempre tenere in considerazione l’orizzonte temporale del vincolo (che può accrescere la percentuale di guadagno), la differenza tra guadagno netto e lordo e l’imposizione fiscale.
La situazione dei conti deposito dopo il 2010
Gli anni successivi al 2010 sono stati caratterizzati da un clima finanziario turbolento e instabile, dettato dal picco della crisi economica che ha raggiunto dimensioni globali. Tutto questo ha avuto una ripercussione diretta sui conti deposito in Italia, che sono scesi tutti sotto la soglia del 3% netto.
Nel 2011, il già citato Conto Arancio riusciva a garantire il 2,37%, ma solo ai nuovi clienti che vincolavano il loro capitale per un periodo pari ad almeno 12 mesi; la proposta di Webank assicurava invece un profitto leggermente più alto, pari al 2,57% per le giacenze bloccate per 18 mesi; il miglior tasso di quell’anno era quello associato all’offerta Rendimax di Banca Ifis, che si distingueva per una percentuale lorda del 4%, corrispondente al 2,92% netto (per depositi vincolati a due anni).
Altri istituti di credito non riuscivano a garantire rendimenti superiori al 2%, mentre alcune banche erano già scese addirittura sotto l’1%.
I tassi dei conti deposito al tempo della Lira
Ti potrai chiedere a quanto corrispondevano i tassi d’interesse applicati ai conti deposito prima dell’avvento dell’euro nella nostra economia.
Anche in questo caso, puoi basarti su un benchmark specifico, come le percentuali dei Buoni Fruttiferi Postali ordinari.
Sebbene non si tratti di veri e propri conti deposito, i BFP possono essere considerati un buon punto di riferimento per valutare il rendimento del risparmio italiano nei decenni passati.
Osservando l’andamento storico, negli anni ’80 il tasso associato ai BFP con scadenza decennale aveva toccato il 13% lordo, mentre negli anni ’90 la rendita media si attestava al di sotto del 10%, ma sempre al di sopra del 5%.
Al fine di comprendere l’effettivo guadagno realizzato, è bene considerare due fattori: il primo riguarda le imposte sulle rendite, che fino al 1986 erano addirittura assenti, mentre il secondo concerne il costo della vita, che negli anni ’80 e ’90 era molto più caro di oggi per via di un’inflazione più consistente.
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